VATICANO - “Vi fu detto, ma io vi dico…” - un intervento del prof. Michele Loconsole sulla Giornata per il dialogo tra cattolici ed ebrei, sul tema “Non pronunziare il nome del Signore Dio tuo invano” (Es 20,7)

giovedì, 17 gennaio 2008

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Da più di un decennio, il 17 gennaio di ogni anno si celebra la Giornata di riflessione per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo ebraico-cattolico: inaugurata nel 1990, per volere della Conferenza Episcopale Italiana, è posta alla vigilia della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18 al 25 gennaio), quasi a fondamento del dialogo ecumenico. Si è voluto, in tal modo, porre l’accento sulle origini giudaiche del Cristianesimo, la “radice” santa che ha dato linfa e vita alla Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica, così come l’ha voluta Gesù Cristo.
La Giornata è attualmente celebrata - oltre che in Italia - anche nelle Chiese di Austria, Francia, Polonia e Svizzera; e in alcuni casi in collaborazione con altre chiese e comunità ecclesiali o con autorità e comunità ebraiche. Tessera di un più ampio mosaico, su cui si vanno disegnando le molte iniziative volte alla mutua conoscenza tra le due religioni, l’ormai ciclico appuntamento interreligioso d’inizio anno è finalizzato a promuovere l’approfondimento e il reciproco rispetto tra cattolici e ebrei. Dialogo e confronto che ha avuto inizio con il Concilio Vaticano II e che è giunto fino ai recenti discorsi di Benedetto XVI - che ne ha raccomandato a più riprese la promozione nei frequenti incontri con i rabbini e autorità ebraiche incontrate in varie parti del mondo -, passando naturalmente per il proficuo apporto del lungo e illuminato pontificato di Giovanni Paolo II, nonché dei suoi più immediati predecessori.
La Giornata si propone quindi di sviluppare, anno dopo anno, le interessanti prospettive ecclesiologiche ed ecumeniche riportate nella Dichiarazione conciliare sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, dove, al paragrafo dedicato alla religione ebraica, riferisce che: “Scrutando il mistero della Chiesa questo Sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo” (Nostra Aetate,4). E più avanti, citando l’Apostolo, “che gli ebrei, in grazia dei Padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui chiamata sono senza pentimento” (cfr Rm 11,28-29 e LG,16).
Negli ultimi tre anni, però, alle Giornate è stato assegnato uno specifico tema su cui fare cadere la comune riflessione di ebrei e cattolici. Si è cominciato nel 2005, quando ci si è proposti di approfondire - un comandamento per anno - le Dieci Parole, o Decalogo, rivelate a Mosè sul monte Sinai.
Quest’anno, il 2008, è stata la volta del terzo comandamento - almeno secondo l’ordine tradizionale seguito sia da ebrei che da cristiani ortodossi e protestanti, che per i cattolici, almeno da sant’Agostino in poi, e per i luterani è invece il secondo: “Non pronunziare il nome del Signore Dio tuo invano. Poiché il Signore non lascerà impunito chi avrà pronunciato il Suo nome invano” (Es 20,7-8).
Comandamento che è stato commentato dall’ormai atteso Sussidio, testo che introduce e accompagna annualmente la riflessione della Giornata sul dialogo tra cattolici e ebrei. Prefatto congiuntamente dal Rabbino Giuseppe Laras e da Sua Ecc. Mons. Vincenzo Paglia, riferisce che “questo Comandamento vieta l’uso sconsiderato di nominare il nome di Dio per scopi falsi o superficiali. Infatti, alla prima locuzione segue la seconda, che dichiara l’ineffabilità della maestà di Dio e la necessità, per l’ebreo, dell’osservanza dei precetti con amore e timore. Il vero amore per Dio, infatti, deve condurre l’ebreo sino al sacrificio della propria vita. È così che si deve Santificare il Nome=Qiddùsh ha-Shèm, il cui fine è glorificare il santo Nome nel mondo. In tal modo il Comandamento rivela all’uomo l’intera la sua ricchezza, il cui apice è toccato nella proclamazione dell’universalità della santità e della santità dell’Eterno”.
Come la santificazione del Nome è meritoria, in modo che anche la più piccola delle buone azioni viene elevata a Dio, così la sua profanazione è colpa grave (Lv 24,14-16). Il giuramento falso e ancor più la bestemmia sono considerati colpevoli trasgressioni che conducono alla morte spirituale. Se infatti “Dio si compiace non della morte del peccatore, ma che si converta e viva” (Ez 18,23), è altrettanto certo che non solo nell’intimo della coscienza ma ancor più nella vita sociale occorre manifestare reciproco rispetto per i segni religiosi delle singole fedi, e tra questi il posto più alto spetta senz’altro al Nome divino.
Con la Bibbia, infatti, l’uomo ha imparato a chiamare Dio Avìnu - o Padre nostro -, invocazione semplice ma profonda rivelata all’ebreo (Is 63,16) e al cristiano (Mt 6,9). Nome santo e amorevole per mezzo del quale l’Altissimo esprime la propria relazione di Creatore e Redentore con i figli prediletti. Invocazione che si fa preghiera ardente e confidente, che sale dal cuore dei figli al Padre di tutti di uomini, per gli ebrei nella Birkàt ha-Torà=Benedizione della Legge, per i cristiani nel Pater. Grazie a questa rivelazione sappiamo che Dio è Creatore e Padre di tutta l’umanità (cfr Mal 2,10), paternità che si esprime nell’Alleanza irrevocabile, di cui i Dieci Comandamenti ne costituiscono il sigillo.
In conclusione, la Giornata sul dialogo ebraico-cattolico del 2008 è venuta a ricordarci che se Dio è Padre, questo vuole dire che tutti gli uomini sono fratelli. Verità che oggi, dopo secoli di incomprensioni, è resa sempre più visibile nel fecondo rapporto, pur senza difficoltà, tra ebrei e cristiani; i primi, “fratelli maggiori” dei secondi.
Fratellanza che l’intero mondo, ancora sofferente e dilaniato dalle divisioni etniche, culturali e religiose, spera venga allargata e realizzata quanto prima, per anticipare e godere, in tal modo, i frutti del Regno di Dio, promesso all’umanità fin dai tempi dei Patriarchi e inaugurato definitivamente da Gesù Cristo (Nostra Aetate, 5). (3 - continua) (Agenzia Fides 17/1/2008; righe 66, parole 928)


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