VATICANO - Giuseppina Bakhita, da schiava a prima Santa sudanese, citata come esempio nell’enciclica “Spe salvi” di Benedetto XVI

venerdì, 30 novembre 2007

Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Giuseppina Bakhita, la prima santa del Sudan e la prima donna africana a salire sugli altari senza essere martire, viene citata come esempio nella seconda enciclica di Papa Benedetto XVI “Spe salvi”. “Per noi che viviamo da sempre con il concetto cristiano di Dio e ci siamo assuefatti ad esso, il possesso della speranza, che proviene dall'incontro reale con questo Dio, quasi non è più percepibile. L'esempio di una santa del nostro tempo può in qualche misura aiutarci a capire che cosa significhi incontrare per la prima volta e realmente questo Dio. Penso all'africana Giuseppina Bakhita, canonizzata da Papa Giovanni Paolo II” (n.3)
Cenni biografici
Giuseppina nasce nel 1869. Vive in Sudan con i genitori, 3 fratelli e 4 sorelle a Olgossa, un piccolo villaggio del Darfur, vicino al monte Agilerei. Il primo dolore Giuseppina lo prova quando quelli che lei definisce “negrieri” - in realtà membri di tribù arabe che trafficavano in schiavi - rapiscono la sorella più grande: “Ricordo ancora - racconta nel 1910 - quanto pianse la mia mamma, e quanto piangemmo noi pure”. In un giorno imprecisato tra il 1876 e il 1877 subisce la stessa sorte della sorella: la rapiscono e la portano lontano. “Non avevo in mente che la mia famiglia, chiamavo mamma e papà, con un’angoscia d’animo da non dire. Ma nessuno là mi udiva”.
Trasferita a Khartoum, viene arabizzata e le viene imposto il nome di Bakhita (fortunata). Dimenticando presto il suo nome originario - che resta sconosciuto - la giovane schiava cambia padrone 5 volte tra il 1877 e il 1883. Le sofferenze di Giuseppina Bakhita sono contenute nel breve scritto del 1910 in cui racconta le sue vicissitudini fino alla conversione: frustate, ferite aperte su cui viene strofinato il sale, maltrattamenti e angherie. Nel 1883 viene comprata dall’agente consolare italiano Calisto Legnani, che l’acquista dal suo ultimo proprietario, un generale turco che deve lasciare il Sudan e si vuole disfare degli schiavi che ha. Col nuovo padrone si trova meglio: “Questa volta fui davvero fortunata; perché il nuovo padrone era assai buono e prese a volermi bene[…] non ebbi rimbrotti, né castighi, né percosse, sicché non mi pareva di godere tanta pace e tranquillità”.
Ma nel 1885 Legnani è costretto a lasciare il Sudan in seguito all’avanzata della rivoluzione mahdista. Giuseppina convince il padrone a portarla con sé. Giunti a Genova viene affidata alla famiglia di Augusto Michieli, che vive a Zianigo, provincia di Venezia. Il Michieli ha una moglie (Turina) ed una figlia (Mimmina). Giuseppina diviene la bambinaia di Mimmina. Tra 1888 e 1889 la famiglia Michieli, che ha interessi economici in Africa, decide di tornare in Sudan. Giuseppina va con loro per nove mesi, poi torna in Italia con la piccola e la signora.

La scoperta della fede
Bakhita e Mimmina vengono affidate per un breve periodo all’Istituto delle Catecumene di Venezia, gestito dalle Canossiane. E’ qui che Giuseppina inizia a scoprire la fede: “Allora quella sante Madri - diceva nel 1910 - con una eroica pazienza mi istruirono e mi fecero conoscere quel Dio che fin da bambina sentivo in cuore senza sapere chi fosse”.
Quando la signora Michieli torna e pretende di portarla di nuovo in Africa, Bakhita si ribella. Soffre a veder partire la piccola Mimmina, ma sceglie di restare, con l’appoggio del Patriarca di Venezia, Domenico Agostini, e del procuratore del Re.
Inizia qui la nuova vita di Bakhita: il 9 gennaio 1890, a Venezia, riceve il Battesimo, la Cresima e l’Eucarestia dal Card. Domenico Agostini. Il 7 dicembre 1893 entra nel Noviziato delle Figlie della Carità e l’8 dicembre 1896, festa dell'Immacolata, emette i voti temporanei a Verona. Nel 1902 si trasferisce a Schio, e lì, per la prima volta nel 1910, racconta la sua storia. Il 10 agosto 1927 emette i voti perpetui a Venezia. Per il resto della vita svolge lavori di fatica nell’istituto in cui vive. A Schio tutti la chiamavano la Madre moretta. Vive in umiltà, ma la gente la ama e la cerca. Già al momento dei voti perpetui se ne parlava come di una santa, e nel 1931 un libro che narra la sua storia viene diffuso in migliaia di copie e tradotto in varie lingue.
Giuseppina Bakhita muore l’8 febbraio 1947 nell'Istituto Canossiano di Schio. Subito, davanti alla sua camera ardente si forma una fila ininterrotta di fedeli.

Il cammino verso gli altari
Il corpo di Bakhita, secondo le testimonianze raccolte all’epoca, rimane tiepido e morbido fino al momento di chiudere la cassa. Un padre di famiglia disoccupato davanti alla salma implora un posto di lavoro: torna qualche ora dopo, raccontando di averlo trovato. I miracoli iniziano a succedersi. Già nel 1950, a soli tre anni dalla morte, il bollettino canossiano pubblica 6 pagine di nomi di persone che attestano di aver ricevuto grazie per l’intercessione di Bakhita.
Il processo ordinario per avviare la beatificazione si svolge a Vicenza tra il 1955 e il 1957. Il processo apostolico si tiene nel 1968-1969. Proprio nel settembre 1969 il corpo di Bakhita viene riesumato e traslato dal cimitero di Schio all'Istituto delle Figlie della Carità in cui era vissuta.
Giovanni Paolo II firma il Decreto sull'eroicità delle virtù di Giuseppina Bakhita il 1° dicembre 1978 e il 6 luglio 1991 il Decreto di Beatificazione. Il 17 maggio 1992 Giuseppina Bakhita viene proclamata Beata e domenica 1° ottobre 2000 Giovanni Paolo II la canonizza in Piazza San Pietro: è la prima Santa sudanese. (S.L.) (Agenzia Fides 30/11/2007; righe 63, parole 894)


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