ASIA/COREA DEL SUD - Come un tesoro nascosto. I cattolici coreani custodiscono la memoria dei loro martiri

martedì, 22 luglio 2025 martiri   pellegrinaggi   chiese locali  



di Pascale Rizk

Seoul (Agenzia Fides) - "Se seguiamo l'esempio dei martiri e crediamo nella parola del Signore, allora comprenderemo la sublime libertà e la gioia con la quale essi andarono incontro alla morte". Così Papa Francesco si era rivolto ai coreani durante la messa di beatificazione di Paolo Yun Ji-Chung e dei suoi 123 compagni martiri, celebrazione avvenuta sabato 16 agosto 2014 alla Porta di Gwanghwamun, a Seoul, durante il suo viaggio apostolico in Corea del Sud.

In una Corea che non assomiglia quasi più a quella di tre secoli fa, la gioia e la libertà dei martiri di allora continuano ad attirare tanti coreani all'incontro con Cristo.

Sono i luoghi, i discendenti e pure il suolo a custodire oggi 'come un tesoro' la memoria di coloro che, con audacia semplice e gratuità ricevuta in dono, hanno lasciato tutto per non 'separarsi dall'amore di Cristo' (Rm8, 35).

In questo mese di luglio, la Chiesa cattolica in Corea si ferma a commemorare il centenario della beatificazione dei suoi primi 79 martiri, canonizzati nel 1984.


Pellegrinaggi sui passi dei martiri


Negli ultimi anni, la commozione di tanti coreani che si recano nei luoghi del loro martirio sembra crescere, e diventare sempre più luminosa.

Nel 2011, vescovi e sacerdoti responsabili dei luoghi di martirio nelle varie diocesi hanno dato vita a un itinerario ideale intitolato " santuari del cattolicesimo in Corea", iniziativa che è diventata una vera e propria guida per il pellegrino. Raccoglie e segnala 167 riferimenti ai santuari cari alla memoria ecclesiale, di cui ben 69 sono luoghi di martirio. Il libretto propone una preghiera di inizio pellegrinaggio e una conclusiva. Nella sua edizione rivisitata e pubblicata nel 2019, la guida distingue tra santuari, luoghi di martirio e luoghi di pellegrinaggio.

I luoghi più conosciuti e frequentati sono gli itinerari proposti dall'Arcidiocesi di Seoul come percorso di pellegrinaggio con approvazione ricevuta anche dalla Santa Sede il 14 settembre 2018. Tre itinerari, presentati come ‘Percorso della buona novella', 'percorso della vita eterna e ‘percorso dell'unità' propongono di percorrere le vie della capitale visitando i monumenti più importanti della storia della Chiesa cattolica presenti nella penisola, come la Porta di Gwanghuimun, da dove passavano i corpi dei cattolici martirizzati, per questo soprannominata "Porta dei morti". Tra gli altri luoghi significativi c'è anche il Santuario di Jeoldusan, promontorio roccioso dove migliaia di battezzati furono martirizzati, e la chiesa di Gahoe-dong, dove si è celebrata la prima Messa nel 1795. In altri punti identificati nei percorsi, come il luogo in cui sorgeva la casa di Giovanni Battista Yi Byeok, colui che accoglieva i primi cristiani coreani, rimangono solo lapidi commemorative, dopo che secoli di distruzioni e ricostruzioni hanno radicalmente modificato il paesaggio urbano.


I discendenti onorano gli antenati

Nel mese di settembre, la Chiesa cattolica in Corea fa memoria dei suoi 103 santi e i suoi 124 beati. I primi furono canonizzati da Papa Giovanni Paolo II nel 1984, i secondi furono proclamati beati da Papa Francesco nel 2014. A quattro santi coreani appartengono le reliquie presentate al pubblico culto qualche giorno fa, il 2 luglio, a Seoul. Reliquie appartenenti a 3 missionari francesi della Societé des Missions Etrangères de Paris (il vescovo Laurent Imbert, i sacerdoti Pierre Maubant e Jacques Chastan), insieme al primo sacerdote coreano Andrea Kim Tae-gon. La Conferenza dei Vescovi coreani aveva ricevuto tali reliquie il 19 febbraio scorso, tali reliquie, in precedenza custodite dalle Suore di San Benedetto di Olivetano in Corea. In particolare, si tratterebbe di un frammento dell'osso del piede di Andrea Kim e dei capelli degli altri. Kim fu martirizzato all'età di 25 anni il 16 settembre nel 1846, mentre i missionari francesi furono decapitati il 21 settembre 1839 a Saenamteo, sulla riva nord del fiume Han, nel distretto di Yongsan-gu a Seoul. La cerimonia faceva parte di una serie di eventi commemorativi per il centenario del mese santo della beatificazione dei 79 martiri.


Nuovi volti del martirio

Attualmente la Chiesa cattolica coreana sta seguendo il processo per la beatificazione di altri due gruppi di battezzati uccisi durante le persecuzioni. Il primo è quello del Servo di Dio Giovanni Battista Yi Byeok e dei suoi 132 compagni laici uccisi durante la dinastia Joseon tra il 1785 e il 1879. Yi Byeok ebbe un ruolo fondamentale nella prima comunità cristiana coreana e i suoi compagni, tra cui Francesco Saverio Kwon Il-shin e Ambrogio Kwon Cheol-shin.

Il secondo gruppo è quello del Vescovo Francesco Borgia Hong Yeong-ho e dei suoi 80 compagni vissuti in tempi moderni, alcuni morti nel massacro del 1901 a Jeju e altri uccisi dopo la divisione della Corea, inclusi 20 sacerdoti e 3 religiose missionari esteri. Tra loro ci sono Suor Marie Mechtilde del Santissimo Sacramento e Suor Teresa del Bambino Gesù del monastero delle Carmelitane di Seoul che, insieme ad altre 3 consorelle straniere, avevano fondato il piccolo convento di Hyehwa-dong, voluto dal Vescovo Won Larriveau nel 1940. Tutte loro ebbero l'opportunità di fuggire all'estero, ma decisero di rimanere con le suore coreane: due di loro furono rapite e torturate. Infine, durante la famigerata "marcia della morte" da Pyongyang a Chunggangjin sul fiume Amnok furono martirizzate e sepolte in Corea del Nord. Le altre tre sono state rimpatriate nel loro paese d'origine, la Francia, grazie a uno scambio di prigionieri.

Anche il missionario dei Maryknoll - primo Vescovo di Pyongyang - Patrick Byrne, originario degli Stati Uniti, scelse di rimanere in Corea durante la guerra. Rifiutandosi di denunciare gli Stati Uniti, le Nazioni Unite e il Vaticano, fu condannato a morte dai nordcoreani, ma riuscì a sopravvivere, seppur subendo trattamenti brutali. Successivamente si unì ad altri prigionieri in una marcia forzata guidata da un comandante spietato noto come "la Tigre": nonostante le sofferenze e la stanchezza, Byrne assistette i soldati morenti, pregando ed elargendo benedizioni lungo il percorso. Il terzo giorno della marcia, mentre impartiva l'assoluzione generale ai soldati inginocchiati con lui sulle montagne innevate, si ammalò gravemente per poi morire in un ospedale nordcoreano gelido e privo di medicine, noto ai prigionieri come "l'obitorio".

L'inchiesta per il processo di beatificazione è stata completata a giugno 2022 in Corea ed il materiale relativo è stato inviato al Dicastero per le Cause dei Santi.


Il sacrario nascosto di Hanti

Durante la dinastia Joseon i cattolici scappavano verso il sud del Paese e cercavano rifugio tra le montagne. Cercavano di rimanere vicini o almeno in segreto contatto con i propri famigliari imprigionati e arrestati nei diversi luoghi. Così le prime famiglie cristiane giunsero alla montagna chiamata Hanti, situata a 600 metri sul livello del mare, a nord-ovest del Palgongsan e a nord della città di Daegu, nella provincia di Gyeongsang. Dopo le persecuzioni di Eulhae (1815), Jeonghae (1827) e Gihae (1839), e durante un periodo di alleviamento delle tensioni avvenuto nella metà de secolo, la presenza dei cattolici nel Paese era divenuta importante. Lo attesta anche la lettera del 1862 inviata a François-Antoine Albrand - Superiore Generale della Società delle Missioni Estere di Parigi - dal Vicario apostolico della Corea (1854-1866) Siméon-François Berneux, dove si legge: "Sono andato in un villaggio molto isolato sul fianco di una grande montagna, e circa 40 cristiani hanno ricevuto la Santa Comunione".

Con la persecuzione del Byeongin (1866), arrivata dopo quella di Gyeongsin (1860), le tribolazioni della storia dei cattolici coreani toccarono l'apice della violenza, diventando sterminio: ne furono uccisi quasi 8 mila su 10 mila. Ci fu poi la persecuzione Mujin (1868), che colpì gli abitanti di Hanti, martirizzati sul posto per apostasia.

I primi pellegrinaggi sul luogo iniziarono cent'anni dopo, e nel 1988 sei tombe di martiri sono state riesumate e trasferite. Presente sul luogo, il professore di anatomia della facoltà di medicina dell'Università Nazionale di Kyeongpook, Joo-gang Thomas d'Aquino, racconta in un articolo nel giornale cattolico: "il corpo davanti a me era decapitato. Il collo era piegato all'altezza della vita e la parte inferiore del corpo era riversa a terra. Ho esaminato attentamente le vertebre cervicali. Non c'erano fratture e il numero corrispondeva, sembrava che solo la carne fosse stata tagliata con un coltello affilato. Le lacrime mi sono sgorgate dagli occhi". Oggi 37 tombe degli 'innumerevoli martiri sconosciuti' riposano sulla collina di Hanti, nell'arcidiocesi metropolitana di Daegu.


terra impregnata del sangue dei martiri

Altrettanti erano anche i martiri senza nomi della diocesi di Daejeon, a 157 chilometri di Daegu. "Nel 2014, padre Pietro Kim Dongyum si occupò del trasferimento delle tombe dei Martiri coreani senza nome, appartenenti alla classe sociale più bassa, uccisi nel XIX secolo a Deoksan, Haemi e Hongju, città situate nella Diocesi. Tale intervento si rese necessario a causa dell'innalzamento del livello dell'acqua che minacciava l'integrità delle sepolture", racconta padre Agostino Han, capo ufficio presso il Dicastero di evangelizzazione. "Le tombe furono trasferite in un terreno adiacente al Santuario di Silli. A Silli, San Marie-Nicolas-Antoine Daveluy, M.E.P., quinto Vescovo della penisola coreana, svolse segretamente il suo ministero pastorale per 21 anni. Durante il trasferimento Pietro Kim sentì il dovere di conservare parte del terriccio intorno alle tombe, ritenendo che potesse contenere reliquie dei Martiri, i quali erano stati sepolti senza un adeguato rito funebre a causa delle dure persecuzioni dell'epoca. Per questo motivo, egli riservò una parte di quella terra alla realizzazione di crocifissi e corone del Rosario in ceramica, incorporandovi il suolo prelevato dalle tombe dei Martiri. Si può quindi presumere che queste corone del Rosario contengano terra impregnata del sangue e di frammenti ossei di quei Martiri che offrirono la propria vita in testimonianza della fede. Un modo per rendere omaggio a loro, alla loro fede e alla loro memoria".

(Agenzia Fides 22/7/25)


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