ASIA/SIRIA - Strage di cristiani a Damasco. Patriarcato greco- ortodosso: sono i nostri nuovi martiri

lunedì, 23 giugno 2025

di Pascale Rizk

Damasco (Agenzia Fides) - “Nel giorno in cui la nostra Chiesa di Antiochia commemora tutti i Santi antiocheni, questa sera si è alzata la mano traditrice dell'iniquità e ha mietuto le nostre anime con le anime dei nostri cari che sono caduti oggi come martiri durante la messa serale nella chiesa di Sant'Elia, a Dwela'a, Damasco”. Con queste parole il Patriarcato greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente, guidato dal Patriarca Yohanna X, si è rivolto ai fedeli di tutto il mondo dopo la strage di matrice jihadista perpetrata durante la messa serale di domenica 22 giugno, che ha ferito tutti i cristiani di Siria.

La chiesa di Sant'Elia si trova nel quartiere di Tabbalah, vicino all'ingresso del quartiere di Douweila. Fu costruita nel 1990. È un monastero che comprende una chiesa, una scuola e diverse sale per gli ospiti, con stanze per pellegrini e studenti.

Secondo le informazioni di fonti locali raccolti dall’Agenzia Fides, l’assalto è iniziato con numerosi colpi sparati dall’esterno della chiesa. Poi almeno due kamikaze che indossavano cinture esplosive sono entrati dentro la chiesa dall’ingresso posteriore rispetto all’altare, e hanno fatto strage usando gli esplosivi.


La testimonianza di Laure al Nasr

Nelle reti sociali viene diffuso il video con il racconto della testimone oculare Laure al Nasr: suo marito Geryes el Bechara, membro della Direzione Generale dell'Autorità Pubblica per i Trasporti Stradali, insieme ad uno dei fratelli presenti alla messa, Botros el Bechara, ha tentato di fermare l’assalitore. “Gli spari” racconta Laura nella sua testimonianza, traumatizzata dal dolore “hanno dapprima colpito le finestre della chiesa, così la gente si è messa paura e ha si è raccolta intorno all’altare. Quando l’attentatore ha fatto irruzione nella chiesa – prosegue la testimone – “Geryes e Botros hanno provato a fermarlo: uno colpendolo al braccio per fargli cadere di mano una granata, che non è esplosa, l’altro provando a trascinarlo fuori dalla chiesa”. In quel momento, il terrorista kamikaze ha azionato la cintura esplosiva, e si è fatto saltare in aria. “Ho visto dilaniarsi i corpi di mio marito e di mio cognato, uno accanto all’altro. Hanno provato a salvare tutti noi, sono martiri per la nostra Chiesa”. Nella strage sono morti altri membri della stessa famiglia: la sorella Myriam, i cugini Giulia, Sleman e Nabil. Sono gravemente feriti una nipote e un terzo fratello di Geryes e Botros, il notaio Elias el Bechara.

Secondo voci non confermate, i kamikaze potevano essere di origine pakistana, e un attentatore sarebbe fuggito dopo la strage.
Ad ora si parla di un bilancio provvisorio che ammonta a 22 morti e 53 feriti. "Continuiamo a raccogliere i resti e i corpi dei nostri martiri”, si legge nel comunicato diffuso dal Patriarcato.


Le reazioni del governo

La professoressa Hind Aboud Kabawat (vedi Fides 12/2/2025), ministro del Lavoro e degli Affari sociali, unico ministro cristiano nella compagine governativa guidata da Ahmad al Sharaa, si è recata sul luogo dell'attentato per esprimere la vicinanza del governo siriano alla comunità colpita dalla strage. Le autorità governative hanno condannato l’attentato, attribuendolo a soggetti legati a Daesh, il cosiddetto “Stato Islamico”. “Questo atto criminale che prende di mira membri della comunità cristiana è un disperato tentativo di minare l'unità nazionale e destabilizzare il Paese, nonché una risposta dei residui del terrorismo ai continui successi dello Stato e della leadership siriana”, di legge nelle dichiarazioni diffuse dalle autorità governative.
Lo stesso Presidente Ahmad al Sharaa, col nome di Abu Muhammad Jolani, ha guidato per anni Hayat Tahrir al Sham, la formazione di ascendenza jihadista che ha esercitato un ruolo di primo piano in seno alla galassia di gruppi armati schierati nella lotta contro il regime degli Assad, crollato di schianto lo scorso dicembre.

Il portavoce del Ministero dell'Interno, Noureddine Al-Baba ha annunciato che “tutte le persone coinvolte in questo atto criminale saranno ritenuti responsabili e lavoreremo per restaurare la chiesa e riportarla al suo antico splendore.”

La vicinanza dell’intera popolazione alla comunità ecclesiale colpita dalla strage si è espressa anche attraverso la raccolta di donazioni di sangue negli ospedali dove sono ricoverati i feriti. Mentre sugli account social di marca jihadista si inneggia alla strage e compaiono messaggi intimidatori rivolti ai cristiani di altre città siriane. Espressioni formali di solidarietà con le comunità cristiane siriane sono giunte da capi di altre comunità religiose, mentre diversi ministri si sono recati negli ospedali per visitare i feriti e i loro familiari.

Nella parte finale del messaggio, diffuso dal Patriarcato greco ortodosso di Antiochia, le autorità che detengono il potere in Siria vengono richiamate a assumersi la piena responsabilità per garantire la protezione dei Luoghi sacri e di tutti i cittadini”. In un momento in cui, ora più che mai l’intero Medio Oriente appare preda di “forze disumane che sembrano voler accelerare la fine del mondo” (Papa Francesco). (Agenzia Fides 23/6/2025)


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