ASIA/INDIA - Un gesuita: "La vita dei rifugiati conta: No a esclusivismo e falso nazionalismo"

martedì, 23 giugno 2020 migranti   diritti umani   società civile   politica  

Ahmedabad (Agenzia Fdes) - "In India un tema particolarmente significativo è quello relativo all'accoglienza e alle condizioni di vita dei rifugiati: negli ultimi mesi i riflettori nel paese sono stati rivolti sugli sfollati interni e sugli apolidi, oltre che sui rifugiati. La legge sulla modifica della cittadinanza (Citizenship Amendment Act, CAA), approvata da entrambe le Camere del Parlamento all'inizio di dicembre 2019, è palesemente incostituzionale e palesemente discriminatoria nei loro confronti. È stata oggetto di molte critiche e di molte proteste. Anche secondo il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite la legge sembrerebbe minare l'impegno per l'uguaglianza di fronte alla legge sancita dalla Costituzione indiana": lo dice all'Agenzia Fides p. Cedric Prakash, Gesuita indiano e attivista per i diritti umani, appena insignito del premio speciale conferito dalla Commissione per le minoranze, nel governo di Delhi, per il suo impegno in favore della promozione dei diritti umani e dell'integrazione sociale.
Il Gesuita nota che "la Convenzione per l'eliminazione della discriminazione razziale, di cui l'India è uno Stato firmatario, vieta le discriminazioni fondate su motivi razziali, etnici o religiosi", mentre la legge ha un effetto discriminatorio sull'accesso delle persone alla nazionalità, selezionandole a seconda della loro religione. "Per questo chiediamo l'immediata revoca del CAA, che potrebbe rendere apolidi un gran numero di persone già presenti nel nostro paese".
Nota p. Prakash: "La pandemia ha portato a focalizzare la difficile situazione degli sfollati interni, in particolare dei lavoratori migranti. Da quando è stato annunciato il blocco, una crisi umanitaria senza precedenti nella storia moderna dell'India, ha gravemente sconvolto la vita dei lavoratori migranti dell'India. Milioni di migranti si sono ritrovati bloccati, senza cibo, denaro e riparo, cercando di tornare a casa. Sono stati sottoposti a violazioni dei loro diritti fondamentali e spesso a gravi abusi della polizia ai confini interstatali. Secondo quanto riferito, molti sono morti a causa del blocco, o stremati durante il viaggio verso casa, per fame, o per suicidio per le violenze della polizia, per malattie o incidenti ferroviari e stradali".
Nel frattempo, rileva l'attivista, "l'attuale strategia delle autorità, in risposta a questo fenomeno, è stata inadeguata e solo il 30% dei lavoratori hanno potuto usufruire i treni speciali predisposti per loro. In questo momento, il governo indiano non sembra avere alcuna stima sul numero totale di persone bloccate o in rotta verso casa, attraverso il paese. In maniera estremamente tardiva, la Corte suprema ha emesso un ordine provvisorio relativo al trasporto di migranti".
Aggiunge p. Prakash: "Il modo in cui l'India ha trattato il piccolo gruppo di Rohingya che hanno cercato rifugio in India sulla scia della loro persecuzione in Myanmar, è un caso da manuale di come siamo diventati inospitali come nazione. Oggi la xenofobia, il falso nazionalismo e l'esclusivismo, sembrano essere diventati all'ordine del giorno. Ciò appare chiaramente soprattutto quando si guarda al modo in cui oggi vengono trattate nel paese le minoranze, gli adivasi, i dalit, i poveri e i vulnerabili come i lavoratori migranti".
P. Prakash ricorda le riflessioni espresse più volte da Papa Francesco, e rileva: "Rispondere alla difficile situazione dei rifugiati e degli altri sfollati, nel mezzo della pandemia, è certamente una grande sfida. Non si otterrà molto se i Governi rinunceranno al loro ruolo di rispondere alle grida di questi popoli. Occorre mostrare coraggio e trasparenza politica per garantire che questi ultimi dei nostri fratelli e sorelle, siano accolti, protetti, promossi e integrati. In ultima analisi, possiamo dire: la vita dei rifugiati conta". (PA) (Agenzia Fides 23/6/2020)


Condividi: