AMERICA/BRASILE - Consiglio Indigenista Missionario: “Il Governo si è alleato coi nemici degli indigeni”

martedì, 2 gennaio 2018 diritti umani   indigeni   sviluppo   corruzione   istruzione   politica   economia   società civile   missione   chiese locali  

CIMI

Brasilia (Agenzia Fides) - Il Consiglio Indigenista Missionario (CIMI), organismo vincolato alla Conferenza Episcopale Brasiliana, critica fortemente la politica del governo federale per i popoli indigeni. “Congiuntura indigena 2017: un governo a breve termine programmato per devastare i diritti” è il titolo di una nota diffusa dal coordinatore del CIMI per il sud del paese, il filosofo e avvocato Roberto Antonio Liebgott. “Deplorevole, depredatrice e devastante per i territori”: così Liebgott definisce, nel testo pervenuto a Fides, la politica nazionale sulla questione indigena. A suo avviso, il governo Temer “ha alterato una delle premesse del neoliberalismo: quella di farsi, attraverso lo Stato, gestore delle disuguaglianze”, perchè “intende migliorare i redditi del mercato e favorire i settori dell'economia che vedono nella terra e nell'ambiente esclusivamente potenzialità lucrative, opponendosi a qualsiasi iniziativa di protezione e preservazione delle risorse naturali”.
La deregolamentazione attuale del lavoro punta a un maggiore sfruttamento del lavoratore e rende invisibili gli “ultimi”, tra i quali gli indigeni. L'ha denunciato più volte anche la stessa Conferenza Episcopale, in particolare dopo la legge del “congelamento della spesa pubblica”. Tale processo che li rende "invisibili" avviene attraverso “la cooptazione di governanti, politici e giudici” e, quando ciò non basta, con “la repressione politica, giuridica e militare”. Gli organi responsabili delle politiche pubbliche verso gli indigeni soffrono i tagli dei fondi imposti dal governo, il congelamento della spesa pubblica per 20 anni, approvato dal Parlamento, la negazione dei diritti costituzionali degli indigeni e la loro discriminazione funzionale per il sistema, che li riduce a una classe sociale che “non ha importanza, non interessa e quindi è scartabile”.
Si cerca – denuncia il CIMI – di ignorare i loro diritti legali, in modo da poter utilizzare i loro territori per la monocoltura, l'estrazione di minerali, legname e la produzione energetica. E chi si impegna per i diritti indigeni soffre rappresaglie politiche e legali. Il Fondo Nazionale dell'Indigeno (Funai), organismo dello Stato per la loro tutela, è criticato da anni dagli indios per la sua inefficenza e lentezza, ed ora, spiega Liebgott, “soffre pressioni da parte di latifondisti” per non compiere la sua funzione di determinazione e demarcazione delle terre indigene. A tale riguardo è stata aperta un'indagine parlamentare Il Funai è oggi “orientato e condotto da settori storicamente anti-indigenisti: latifondisti, titolari di aziende estrattive, fondamentalisti religiosi evangelici e militari”. Risultato: la sua paralizzazione di fatto, avallata anche dal ministero della Giustizia, il cui titolare, Torquato Jardim, blocca le cause legali per l'assegnazione di terre agli indigeni ed “ha come alleato nel Funai un presidente di sua fiducia (che, come lui, è vincolato ai governi)” con un gruppo di funzionari nominati su richiesta di parlamentari vincolati agli stessi settori politici. Avendo campo libero, chi ha interessi opposti a quelli degli indios ha promosso attività illegali di disboscamento, incendi dolosi, depredazione di legname, caccia e pesca a grande scala. Anche la sanità per gli indigeni è peggiorata, preda anch'essa dei tagli di budget.
Nel 2017 sono circolate denunce di massacri impuniti di indigeni da parte di cercatori d'oro, depredatori di legname e cacciatori. Migliaia di famiglie indigene vivono anche nelle città, in cerca di migliori condizioni di vita. Sono quasi tutti poveri – ricorda Liebgott – e disoccupati che si dedicano alla vendita di pezzi di artigianato. Il rappresentante del CIMI è preoccupato: “Il quadro tende ad aggravarsi nel prossimo anno” poiché siamo davanti a un anno elettorale e si prevede una lotta parlamentare “per l'uso dei fondi pubblici in funzione delle scelte che il Parlamento considera più urgenti”.
In questo contesto, l'avvocato resta convinto che l'unica strada sia l'unione delle entità rappresentative degli indigeni, la partecipazione popolare, con assemblee che stabiliscano obiettivi politici da raggiungere, nell'ottica della tutela dei diritti fondamentali delle comunità indigene. (SM) (Agenzia Fides 2/1/2018)


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