ASIA/PAKISTAN - Conversioni forzate all’islam di donne cristiane e indù: “Minoranze senza giustizia”

giovedì, 18 agosto 2016 minoranze religiose   libertà religiosa   donne   islam   violenza   diritti umani  

P.A.

Lahore (Agenzia Fides) - “Ogni anno in Pakistan, centinaia di giovani ragazze cristiane e indù sono forzatamente convertite all'islam, ma i nostri media evidenziano molto raramente le loro storie”: lo ricorda in una nota inviata a Fides l’attivista cristiano pakistano Nasir Saeed, direttore dell’Ong Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement (CLAAS), impegnata ad assistere i cristiani in Pakistan.
Saeed racconta la storia di Asma, ragazza cristiana di Sialkot, rapita a pochi mesi fa dal suo vicino, Ghulam Hussain, persona molto influente. Asma in qualche modo è riuscito a fuggire ma, per dimostrare la legittimità delle nozze con Asma, Hussain ha prodotto certificati della sua conversione all'Islam e del matrimonio con lui. La controversia resta aperta: “Si tratta di una pratica comune e molto allarmante: tali documenti possono essere facilmente comprati o falsificati. E, per fare pressioni sulla povera famiglia cristiana e ottenere il sostegno da parte dei leader islamici, Hussain è ricorso alla religione, sostenendo che Asma ora si è convertito all'islam e che non è le consentito tornare indietro”
“In questo o in altri casi – sostiene Nasir Saeed – vi è la prova che la religione viene usata per coprire veri e propri crimini. E in casi come questo spesso non solo la polizia, ma anche i tribunali ignorano la legge e, invece di decidere il caso in base al merito, prendono decisioni condizionate dalle pressioni da estremisti religiosi”. “Un matrimonio forzato non può mai essere legittimo. Farsi beffa della legge e l’abuso di potere è una pratica comune tra le persone influenti in Pakistan”, nota Saeed. Per questo il padre di Asma, per salvare sua figlia, l’ha inviata in una località sconosciuta”.
In tali casi, nota l’attivista, si amministra una “giustizia deformata”: “A queste ragazze convertite forzatamente all’islam, non è permesso di restare cristiane e di riunirsi alla loro famiglia, pena una accusa di apostasia e dunque il rischio della vita: e mentre lo Stato non vieta a qualsiasi cittadino la conversione o la riconversione ad alcuna religione, la realtà nella nostra società è del tutto diversa”. L’aggravante, secondo Saeed è che “lo Stato non ha mai fatto sforzi concreti per fermare questa pratica perché è una questione che riguarda le minoranze, e i diritti delle minoranze hanno scarsa importanza”.
“Dato che la polizia e i tribunali non fanno rispettare la legge in modo appropriato, il problema continuerà a crescere, e si continueranno a commettere tali crimini senza alcun timore. Anche se secondo la Costituzione del Pakistan tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, è chiaro che alcuni sono considerati superiori sulla base della religione”, nota il direttore di CLAAS.
“La minaccia crescente rende la vita delle minoranze sempre più difficile. Vivono con una costante sensazione di insicurezza, e avendo scarsa speranze di giustizia di fronte alla violenza, sono costrette a lasciare il paese”, riferisce e così conclude: “La conversione forzata è un reato anche per il Codice penale del Pakistan. Dal momento che le leggi del Pakistan non vietano di cambiare religione, è responsabilità dello Stato assicurare e garantire ad ogni cittadino la libertà di religione e di credo”. (PA) (Agenzia Fides 18/8/2016)


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