Missionari uccisi

AFRICA/MOZAMBICO - “Sono rimasti al loro posto, vicino al popolo perseguitato, fino allo spargimento del sangue”. La storia dei gesuiti martiri di Chapotera

Monday, 20 March 2023

di Stefano Lodigiani

In vista della trentunesima “Giornata dei Missionari Martiri” del 24 marzo, promossa dalle Pontificie Opere Missionarie, Fides presenta in questi giorni alcuni profili di missionari martiri per i quali è in corso la Causa di Canonizzazione. La testimonianza al Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo è stata resa da sacerdoti, religiose e laici in situazioni diverse, in continenti diversi. “Il battesimo ci fa entrare in questo Popolo di Dio che trasmette la fede. Un Popolo di Dio che cammina e trasmette la fede. In virtù del Battesimo noi diventiamo discepoli missionari, chiamati a portare il Vangelo nel mondo” (Papa Francesco, udienza generale 15 gennaio 2014).

Tete (Agenzia Fides) - Il 20 novembre 2021, il Santuario di Nossa Senhora da Conceição do Zobuè, nella Diocesi di Tete, in Mozambico, ha ospitato un evento storico per la Chiesa locale: la sessione di apertura del Processo di Beatificazione e Canonizzazione di due Servi di Dio, i Padri gesuiti João de Deus Kamtedza, mozambicano, e Sílvio Alves Moreira, portoghese, noti come i “Martiri di Chapotera”. Furono sequestrati e uccisi il 30 ottobre 1985, nel contesto della guerra civile che ha devastato il Mozambico, divenuto teatro di atrocità e violenze commesse dai guerriglieri della RENAMO e da quelli che sostevevano il regime marxista-leninista della FRELIMO. “I padri João de Deus Kamtedza e Sílvio Alves Moreira si dedicarono totalmente al bene del popolo, godendo della stima di cristiani e non cristiani” sottolinea il Vescovo di Tete, Monsignor Diamantino Guapo Antunes, dei Missionari della Consolata (IMC).

Gli anni della guerra civile misero a dura prova il popolo moçambicano e le comunità cattoliche, come testimoniano le notizie diffuse all’epoca dall’Agenzia Fides. Nel 1985, oltre alla morte dei due gesuiti di cui si è aperta la causa di beaticazione, si registravano altri eventi dolorosi. Il 3 gennaio la missionaria comboniana italiana suor Teresa Dalle Pezze venne uccisa durante un attacco dei guerriglieri della Renamo ad un convoglio di veicoli scortati, lungo la strada da Nampula a Nacala. Nella notte tra il 3 e il 4 giugno, un gruppo di guerriglieri della Renamo rapì a Lifidzi, provincia di Tete, 4 suore portoghesi dell’ordine di San Giuseppe di Cluny e 4 aspiranti, alcune delle quali riuscirono a fuggire dai sequestratori. Due missionari Cappuccini italiani vennero rapiti nella diocesi di Quelimane il 30 luglio da militanti della Renamo, che assalirono la città di Luabo, prendendo in ostaggio i due insieme a altri stranieri. Vennero rilasciati il 10 settembre, insieme ad altri 22 stranieri. Dopo un período di riposo e di cure in Italia vollero ritornare alla loro missione.
Suor Luigia Bottasso, delle Missionarie della Consolata, insieme a tre catechiste mozambicane, furono rapite il 6 novembre tra la missione di Maúa e quella di Cuamba, diocese di Lichinga, mentre si stavano recando ad un encontro pastorale.

In questo quadro, umanamente scoraggiante, spicca la testimonianza di fede dei catechisti di Pambargala, diocesi di Novo Redondo (oggi diocesi di Sumbe, in Angola), riportata da Fides l’11 maggio 1985. “Le comunità cristiane duramente provate dalla guerra, non riescono ad avere la visita dei missionari da più di due anni. Ma i cristiani, i catechisti e soprattutto i giovani, hanno dato testimonianza di coraggio e di perseveranza. Con grande fermezza nella fede, hanno mantenuto i contatti, attraverso messaggi e visite”. Il loro messaggio fu questo: “Viviamo ansiosi di poter visitare e celebrare la fede con tutti i cristiani di Pambargala. Arriverà quel giorno! Intanto siamo fermi nella fede, uniti nella carità fraterna e coraggiosi nella speranza della Pace!”

Chapotera, la località legata ai due gesuiti martiri, è un villaggio a circa 6 km dalla missione di Lifidzi, nel nord della diocesi di Tete. La nazionalizzazione dell'istruzione e della sanità decisa dal governo mozambicano il 24 luglio 1975, un mese dopo l'indipendenza, portò i missionari a pensare a una alternativa a questo tipo di missione cui si erano dedicati fino ad allora. Sfrattati dalla loro casa, lasciate le infrastrutture della missione che avevano costuito (scuole, laboratori, ospedale, ecc.), allestirono una nuova residenza vicino al villaggio di Chapotera, in cui i gesuiti si stabilirono nel 1978. Padre João de Deus Kamtedza giunse a Chapotera il 22 luglio 1983 e padre Silvio nel 1985. Qui, la notte del 30 ottobre 1985, dopo essere stati svegliati da un gruppo di persone armate, furono costretti a lasciare la casa, per poi essere barbaramente uccisi.

La mattina seguente, il 31 ottobre, avendo sentito a notte fonda il rumore di un'auto e degli spari, alcuni cristiani si recarono alla residenza dei sacerdoti. Non vedendo segni di violenza, conclusero che erano stati rapiti dai guerriglieri della Renamo. Questa fu la notizia che giunse a Vila Ulóngwe a mezzogiorno del 31 ottobre. Il 1° novembre, un uomo del villaggio di Chapotera che si recava al suo campo, passando accanto a un albero di sisal, vide i corpi senza vita dei due sacerdoti. Andò quindi ad avvertire il capo della comunità che, spaventato e rattristato, tacque. Così neanche i gesuiti di Ulóngwe, la parrocchia più vicina, seppero nulla dell’accaduto.

Solo il 4 novembre padre António dos Reis, Superiore di Vila Ulóngwe, riuscì ad avere dalle autorità il permesso necessario per andare a Chapotera a vedere quello che era accaduto. Quando arrivò a Chapotera, un uomo gli disse che i sacerdoti erano stati uccisi, a poca distanza. Il missionário quindi tornò a Vila Ulóngwe, per informare l'Amministratore e il Comandante militare. Lo stesso giorno, con la scorta militare tornò a Chapotera per raccogliere i corpi dei sacerdoti, metterli nelle bare e portarli al cimitero del villaggio. Arrivarono al cimitero verso le 19. Pregarono e ascoltarono alcune testimonianze sui sacerdoti, usando i fari delle auto per illuminare il buio.

“Padre João de Deus – racconta il Vescovo di Tete, Monsignor Diamantino Guapo Antunes - era un uomo che irradiava gioia per la sua semplicità e spontaneità, e andava d'accordo con tutti. Amava il Mozambico e la sua gente. Apprezzato da tutti, ha annunciato il Vangelo a tutti con rispetto e amore. Il suo zelo apostolico lo portò, per quanto la situazione lo permettesse, anche a rischio della vita, in luoghi isolati e difficili. Ha cercato di animare e incoraggiare tutti. Insieme al suo popolo ha sofferto la paura in quell'atmosfera di instabilità, scatenata da atti arbitrari, ingiustizie e violazioni della dignità umana. Padre Silvio” – prosegue il Vescovo di Tete - era un uomo attivo, sempre pronto a servire gli altri in qualsiasi necessità. Era retto, sincero e schietto, a volte duro, ma senza offendere nessuno. Era un uomo coraggioso, consapevole del pericolo, ma audace, come chi non teme nulla. Virtù alimentate dalla fede e dalla fiducia. Era intelligente e lucido, molto chiaro nella comunicazione. Era solito portare esempi tratti dalla vita della comunità per illustrare ed esortare”.

João de Deus era nato in Mozambico, a Nkau, sull'altopiano di Angónia (Tete), l'8 marzo 1930. Silvio era nato in Portogallo il 16 aprile 1941, a Rio Meão, Vila da Feira. Entrambi avevano compiuto gli studi secondari presso la Scuola Apostolica di Macieira de Cambra (Portogallo): p. João dal 1948 al 1951 e p. Silvio dal 1951 al 1957. João era entrato nel noviziato della Compagnia di Gesù il 1° settembre 1951, p. Silvio fece il suo ingresso il 24 ottobre 1957. Entrambi avevano conseguito la Licenza in Filosofia presso la Pontificia Facoltà di Filosofia di Braga nel 1958. P. Sílvio partí nello stesso anno per il Mozambico per svolgere il suo periodo di “magistero”. Frequentarono poi un corso di teologia: padre João in Spagna, presso la Facoltà di Teologia di San Cugat del Vallés, a Barcellona, dal 1961 al 1965, e padre Silvio in Portogallo, presso la Facoltà di Teologia dell'Università Cattolica di Lisbona, dal 1968 al 1972.
João fu ordinato sacerdote a Lifidzi, in Mozambico, il 15 agosto 1964; padre Sílvio a Covilhã, il 30 luglio 1972. Sílvio, mentre studiava teologia, aveva frequentato anche l'Instituto Superior de Ciências Sociais e Política Ultramarina (ISCSPU), che preparava il personale dell'Amministrazione d'Oltremare. Lui era interessato a questo corso perchè voleva conoscere la legislazione e l'orientamento politico del Portogallo nei Territori d'Oltremare.

In Mozambico padre João operò sempre in Angónia, mentre padre Silvio lavorò come insegnante nel seminario diocesano di Zóbue (Tete), nella città di Tete e a Maputo. Nel 1984 i due gesuiti erano entrambi a Chapotera, e da lì avevano iniziato a svolgere la loro attività missionaria in tutto il territorio dell'ex missione di Lifidzi, impegnandosi totalmente nell'opera di costruzione del Regno di Dio, che spesso richiede, oltre all'annuncio, anche la rinuncia e la denuncia. Proprio per questo motivo sono stati uccisi il 30 ottobre 1985.

“Questi due gesuiti, che Dio ha fatto incontrare nel 1984 a Chapotera – prosegue il Vescovo Diamantino Guapo Antunes -, erano amici e condividevano ciò che vivevano. Si sono aiutati e incoraggiati a vicenda, perseguendo lo stesso ideale, convinti che il Regno di Dio richieda anche la denuncia di strutture ingiuste e oppressive. Per questo hanno dato la vita. Possono essere considerati martiri della giustizia. Erano testimoni scomodi. Sapevano delle atrocità commesse in quella regione e hanno iniziato a denunciarle. Quando potevano andarsene, hanno sentito di dover scegliere di restare. E così hanno fatto. Sono rimasti al loro posto, vicino al loro popolo perseguitato, fino allo spargimento del sangue”.

Il Vescovo Antunes sottolinea che “la beatificazione dei martiri di Chapotera è molto sentita e desiderata dai mozambicani. Sono stati missionari di fede, coraggio e carità. Il processo in corso è un segno della maturità della Chiesa cattolica in Mozambico, una Chiesa ministeriale e martiriale. È una chiamata all'impegno cristiano coraggioso. Ieri come oggi, la Chiesa cattolica è chiamata a rispondere con la sua presenza efficace e consolatrice tra la popolazione martirizzata, senza mai smettere di lanciare appelli alla pace e alla riconciliazione delle parti in conflitto”. Il Vescovo conclude: “La violenza che devasta il nord del Mozambico, nella provincia di Cabo Delgado, ha già fatto i suoi martiri tra la comunità cattolica. L'esempio dei martiri di Chapotera, come quello dei martiri catechisti di Guiúa e di tanti altri, è oggi di grande importanza. Sono uomini e donne che hanno scelto una vita di testimonianza e di annuncio del Vangelo della pace e dell'amore. Il loro esempio rimane e si moltiplica”.
(Agenzia Fides 20/3/2023)


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